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mercoledì 20 Marzo 2013
[anniversario della nascita di Holderlin (1770)]
[pubblicato su
e su il manifesto del 20/03/2013]
Certe idee sono come
scarafaggi: sono sbagliate, te ne liberi, eppure tornano
Un paio di anni fa, il buon Paul Krugman coniò il termine cockroach ideas per descrivere quelle idee sbagliate che vanno combattute perché fondate su presupposti errati e controproducenti ma che richiedono una continua lotta, come uno sforzo di Sisifo: "fighting bad ideas is like flushing cockroaches down the toilet; they just come right back." (12 febbraio 2011). Di bad ideas che come l'erba cattiva vanno estirpate ma poi tornano a crescere è pieno lo spazio virtuale della politica e della discussione pubblica anche in Italia. È di queste che il tavolo della discussione dovrebbe andare sgombro, perché ci allontanano solo dalla soluzione dei molti problemi che sono venuti accumulandosi. In Italia, come in Europa, abbondano, siamo circondati da idee scarafaggio, assaliti, peggio della zombie economics del libro di John Quiggin (curato in italiano da Marcello Messori).
Un'idea
scarafaggio che dobbiamo gettare giù per lo scarico e che continua a
tornare fuori, imperterrita – uno scarafaggio gigante – è quella
che l'austerità
può causare un'iniziale rallentamento dell'economia ma i vantaggi
che ne derivano, nel tempo, sono maggiori delle pene che essa
inizialmente procura.
È un po' la teoria della medicina amara (ma in realtà è quella di
Pinocchio). Sono almeno cinque anni che è stata avanzata l'idea che
la cosiddetta austerity
sia la soluzione per uscire dalla crisi del debito. L'idea in realtà
si è affermata per lo più nei circoli dei policy
makers
e delle Alte Istituzioni Internazionali, ma ha trovato discepoli
zelanti anche tra i responsabili della cosa pubblica e i commentatori
nostrani. Fortunatamente, da varie parti l'idea è stata messa in
discussione, combattuta e confutata e da almeno due anni la battaglia
si è fatta calda – con i dati costantemente richiamando che le
soluzioni adottate non portano frutti e i loro proponenti che
ostinatamente insistono a riproporle –. Persino dal Fondo Monetario
Internazionale (IMF) e dal suo chief
economist
Olivier Blanchard sono recentemente arrivati segnali di ripensamento.
Il World Economic Outlook
dell'Ottobre 2012 mostrava che dove il "consolidamento fiscale"
è stato maggiore in Europa, maggiore è stato il crollo del PIL.
Krugman ne ha ricavato un grafico che la dice lunga.

Non solo, ma l'avvertimento del Fondo era chiaro: maggiore e più rapida è la "aggressione" allo stock di debito, maggiore il rischio di una spirale deflazionistica e di una più forte recessione (contrazione del PIL).
Eppure, come mestamente ammette Krugman, "we just have to keep fighting these fights, over and over". Combattere chi quelle idee ostinatamente propugna incurante dell'evidenza. Sono ormai tre anni che abbiamo cominciato a toccare con mano quanto le pene inflitte dall'austerity siano dolorose e quanto non vi sia mai limite al peggio. L'Europa viaggia a ritmi afasici da ormai cinque anni, e negli ultimi tre, superata la fase acuta della crisi finanziaria non è ancora uscita dalla crisi economica che ne è derivata. Periodicamente, le stime e le proiezioni che vengono da Governo, UE, IMF e centri di ricerca continuano a procrastinare l'inizio della famosa ripresa. Una chimera. La recessione si è accompagnata a disoccupazione crescente, perdurante, permanente. E nessuno vuole chiamarla con il suo nome che è depressione. Eppure, le elites europee – o eurocratiche come qualcuno le chiama – hanno ritenuto e continuano a ritenere che la crescente disoccupazione di massa non deve essere un problema e che tutta l'attenzione deve concentrarsi sui deficit di bilancio e sul debito.
Ci sono molti sostenitori di idee sbagliate che freneticamente hanno tentato di convincere tutti che il debito fosse il problema dei problemi, finendo per convincere anche i famosi mercati finanziari e gli ancor più famosi investitori, dando loro una mano nei momenti clou. Ma ancor più frenetici sono stati i tentativi disperati dei sostenitori dell'idea che l'austerità "paga" e che l'austerità "funziona". Perché gli avvocati dell'austerità, per chi non lo sapesse, "non fanno solo promesse ma anche minacce: l'austerity, sostenevano, avrebbe fatto evitare la crisi e portato alla prosperità" (ancora il buon Krugman, 31 gennaio 2013). Il debito pubblico, nelle mani degli investitori, ha costo diverso nei diversi Paesi che pure adottano una stessa valuta. È chiaro che l'esplosione dei tassi d'interesse sui bonds e il conseguente gonfiamento del debito mettono in crisi la divisa comune, che i Tedeschi in primis non possono accettare, perché loro ne sono l'asse portante. "Ciò che i tedeschi non vogliono riconoscere", aggiunge però Krugman "è che la rinascita della Germania è stata favorita da un enorme surplus commerciale tedesco a danno degli altri Paese europei – soprattutto a danno dei Paesi oggi in crisi – che stavano avendo un boom e che godevano di un’inflazione anormale, grazie ai bassi tassi d’interesse”. A Berlino dovrebbero abbandonare “l’ossessione per l’inflazione” e pensare alla stabilità dell'Euro (leggi, alla crescita).
In questa vena, il primo esemplare scarafaggio fu la storia irlandese. L'Irlanda, come sappiamo, adottò amari tagli di spesa non appena scoppiò la bolla immobiliare e per un certo periodo fu da molti ritenuta come un esempio fulgido di virtù economica. Come infaustamente affermò Jean-Claude Trichet nel marzo del 2010 l'Irlanda dove essere considerata un modello per tutti i Paesi europei in debito. Il tasso di disoccupazione irlandese, a quel tempo era solo del 13.3 per cento. Le ultime cifre disponibili oggi parlano di un tasso al 14.6 percento, tre anni dopo (appena sotto il picco raggiunto sei mesi fa). Poi venne la Gran Bretagna che, senza alcuna particolare urgenza, decise di adottare le stesse politiche di austerity con il risultato che la sua economia sta ora, finalmente, ristagnando. Non convinti dell'evidenza, i sostenitori dell'austerity hanno continuato a cercare success cases, trovandoli appena nella piccola Lituania. Se è vero che quella economia sta lentamente migliorando, è pur vero che il tasso di disoccupazione è ancora fermo al 14 percento (con un budget deficit nel 2011 pari al 13.1 percento!). Oppure in Islanda che, piccola per piccola, sta sì recuperando, però non grazie a politiche di austerità.
Come
ha sottolineato recentemente John
Weeks,
l'Irlanda è vista come un "alunna modello" tra i Paesi
europei che cercano di uscire dalla crisi, alunna di un'insegnante a
tre teste peraltro chiamata con spregio Troika
nelle piazze europee.
Ma, "inspection
of the Irish “success” provides an excellent insight into the
economics of the 1% that preaches the austerity gospel in Europe.".
Il caso irlandese, secondo Weeks, rimanda all'esempio da manuale di
economia – reso famoso dall'economista indiano Jagdish Bhagwati –
detto della crescita
che immiserisce:
un Paese in continuo surplus commerciale e reddito nazionale calante.
Un'altra idea scarafaggio, che per Weeks ci porta al Paese di
Mercantilia:
quando
surplus commerciale crescente e reddito nazionale calante fanno
comunque parlare di "fondamentali forti": il Paese esporta
ma la sua popolazione diviene sempre meno ricca.
Secondo la lezione impartita dalla Troika, tutti dovrebbero imparare dalla studentessa modello Irlanda, a cominciare dai Paesi PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna). Mentre infatti questi languono nella stagnazione, il PIL irlandese è cresciuto del 1.4 percento nel 2011 e dell'1 percento nel 2012. In altre parole, sostiene la Troika, l'austerità "funziona", e i PIGS dovrebbero solo prendere esempio. E questo è il quadro recente dell'economia irlandese.
Qual'è l'idea scarafaggio che starebbe dietro a questo esempio? L'austerità fa scendere salari e stipendi, facendo diminuire i costi di produzione. Questo favorisce la competitività dell'export, rivitalizzando così l'economia. La crescita dell'economia, favorita dall'export, a sua volta fa aumentare le entrate fiscali riducendo così il debito pubblico. Se gli altri PIGS facessero altrettanto, la riduzione del debito avrebbe così un effetto positivo sulla crisi dell'euro.
Ma cosa dovrebbero fare i poveri GIPSI (acronimo più carino, aggiungendo ai quatto anche l'Irlanda) per seguire l'esempio irlandese? Ci sono forse Paesi al mondo che sarebbero in grado di assorbire il gigantesco surplus commerciale dei GIPSI necessario per farli rientrare (in questo modo) dal debito? Non certo la Germania, che invece vive di surplus commerciale (export maggiore dell'import), non certo la Francia, non certo la Gran Bretagna, che già mostra un notevole deficit commerciale. Forse la Cina?!? La storia irlandese, però, mostra che il reddito pro-capite è passato dai 35.000 euro del 2007 ai 25.000 euro del 2012, nonostante la crescita aggregata del PIL. Questo è il risultato finale per gli irlandesi: export a gonfie vele, reddito nazionale in calo. Per questo la storia irlandese è uno scarafaggio, un'erba gramigna.
Olli Rehn, commissario UE per gli affari economici e monetari (una delle teste della Troika), ha recentemente sostenuto che le misure di consolidamento fiscale messe in atto nelle economie europee deboli hanno dato fiducia ai mercati (finanziari), quando l'evidenza che viene dall'economia reale mostra che ci sono molte ragioni per preoccuparsi e moltissime per non avere fiducia (crollo del fatturato, crollo dell'occupazione, crollo della domanda interna, etc.). Il buon Krugman ha così ironicamente accusato il Commissario UE di voler instaurare un "regno del terrore" ("Rehn of Terror") perché questa non è che una di quelle idee scarafaggio che non smette mai di tornare fuori: la fiducia i mercati non l'hanno avuta dal consolidamento fiscale (leggi tagli di spesa) ma da quello che ha fatto la BCE. Dal momento che "a recent forecast by European Central Bank (ECB) has said that recession in the debt ridden European economies which have applied tough austerity measures would last longer than initially predicted", perché ostinarsi a dire che l'austerità "funziona"? È stata la mossa della BCE a dare fiducia ai mercati, non l'austerità, sostiene Krugman, e sappiamo quanto di vero ci sia in quelle parole (ricordiamo tutti il balletto dello spread la scorsa primavera prima e dopo l'intervento di Draghi). Eppure, Rehn e gli altri eurocrati insistono... e chi li critica viene accusato di anti-europeismo.
Recentemente, Paul de Grauwe e Yuemen Li hanno anche sostenuto che le politiche economiche dell'Eurozona sono in realtà troppo influenzate dalle "sensazioni" (market sentiment) e che paura e panico sui mercati hanno così portato a politiche di austerità eccessive, se non fallimentari, nei Paesi del sud Europa senza per questo provocare stimoli di segno uguale e contrario nei Paesi del nord. Ne è risultata così una distorsione deflazionistica che ha prodotto una ulteriore recessione e, forse, conseguenze ancora più gravi. Sta così diventando ovvio che, nelle parole dei due economisti, "austerity produces unnecessary suffering, millions may seek liberation from ‘euro shackles’".
Un'altra idea scarafaggio è quella che i salari tedeschi sarebbero be più alti di quelli degli altri Paesi europei e che il vantaggio comparato tedesco avrebbe una sola ragione, che va sotto il nome di produttività. La storia la racconta Klauz Zimmermann, direttore dell'IZA, un istituto di ricerca tedesco, rispondendo a Krugman in un'intervista: "Al di là dei primi anni dopo la riunificazione, la Germania è sempre stato un Paese orientato alle esportazioni e con un forte surplus commerciale. Ci sono poche industrie che consentono questo surplus tra cui quelle di macchinari, di automobili e siderurgiche. Le compagnie tedesche sono state estremamente competitive anche grazie a un decennio di salari ristretti (anche se più alti che nella maggior parte dei Paesi). Tuttavia, come indicato dalle recenti contrattazioni collettive nel mondo del lavoro, i salari tedeschi stanno salendo – in molti casi stanno salendo molto al di sopra dell’inflazione. Questo non solo rafforzerà la domanda interna della Germania ma permetterà anche ad altri Paesi dell’Eurozona un percorso di aggiustamento economico. Ciò presuppone, ovviamente, che quei Paesi resistano alla tentazione di un rapido innalzamento dei loro salari. Gli aumenti dovrebbero essere commisurati a reali guadagni in produttività e a migliori performance economiche. Questo ordine delle cose dovrebbe servire come modello, visto che è in aperto contrasto con quanto accaduto in molti Stati europei nell’ultimo decennio." (sic, il corsivo è mio)
Giustamente, però, Claudio Martini e Luciano Gallino ci ricordano che questa storia ha un rovescio della medaglia, che risponde appunto al nome di immiserising growth: "C'è un Paese in Europa che ha sofferto, negli ultimi anni, di una vera e propria sindrome da bassa crescita. Un Paese nel quale gli stipendi stagnano, quando non si riducono, e sopratutto perdono terreno rispetto alla produttività del lavoro. Un Paese dove i lavoratori e i pensionati sono stati costretti a rinunciare a molto di quello che avevano conquistato. Un Paese dove le disuguaglianze non fanno che aumentare, i ricchi sono sempre più ricchi e la povertà dilaga". Questo Paese è proprio la Germania, come mostrano due studi sulla povertà urbana in Germania e sulla diseguaglianza nella distribuzione del reddito. Peraltro, l'aumento della diseguaglianza in Germania ci dice molte cose sul "modello tedesco":

Così come è significativo l'andamento di salari e produttività (rapportando Germania ai PIGS+Francia):

Quale crescita basata su maggiore produttività, dunque? Il modello tedesco si baserebbe in realtà sul "vecchio e noto" collaudato schema: abbassare i salari e la competitività migliorerà, altro che aumento della produttività!
Idee scarafaggio in Italia: bagarozzi ovunque tra gli "esperti" e i commentatori
Se diamo un occhio a casa nostra, ci rendiamo subito conto come le idee scarafaggio che non smettono di tornar fuori dallo scarico da noi sembrano abbondare. Come quella che dice: la diseguaglianza è un effetto della crisi. Ma la diseguaglianza in Italia ha radici lontane, purtroppo... alla prossima puntata!
