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domenica 13 dicembre 2018
[in questo giorno, nel 1981, Il generale Wojciech Jaruzelski
dichiarò la legge marziale in Polonia per schiacciare il movimento di
Solidarnosc e impedire l'intervento sovietico]
[Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina web dell'Istituto Cattaneo]
Alla Conferenza nelle
Nazioni Unite tenutasi il 10-11 dicembre a Marrakesh (Marocco) è stato
formalmente adottato il Global Compact for Migration (GCM), il patto intergovernativo globale “per una
migrazione sicura, ordinata e regolare”.
Nella sua dichiarazione
di apertura, il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha
sottolineato che il GCM si rivolge in particolare al 20 per cento di migranti
illegali in tutto il mondo, e sono circa 50 milioni, perché si vuole evitare la
sofferenza umana che la migrazione comporta: dall’anno 2000, oltre 60.000
migranti hanno perso la vita nel mondo. Il patto è in qualche modo storico
perché dà all'ONU la possibilità di occuparsi efficacemente con gli Stati
membri delle questioni relative alla migrazione.
Il dibattito generale è
stato aperto da 13 capi di stato e capi di governo tra i quali la cancelliera
Angela Merkel (Germania), Alexis Tsipras (Grecia), Charles Michel (Belgio),
Pedro Sanchez Perez-Castejoin (Spagna) e il cardinale Pietro Parolin (Santa
Sede). Il Patto non è un trattato internazionale ed è quindi non vincolante (non binding) ai sensi del diritto
internazionale. Tuttavia, come nel caso di accordi simili delle Nazioni Unite, esso
rappresenta un impegno politicamente
vincolante.
Come sappiamo, l'escalation
della guerra civile siriana e l'ascesa dell'ISIS hanno portato ad un aumento
del numero di rifugiati in Medio Oriente e alla “crisi europea” dei rifugiati
del 2015-2016. Durante la crisi, diversi governi europei si sono rifiutati di
rispettare la Convenzione di Dublino, rendendo così necessario un nuovo accordo
sulle politiche di asilo.
Il 19 settembre 2016, i Paesi
membri dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite hanno adottato all'unanimità la Dichiarazione di New York per i rifugiati e i
migranti, dichiarazione
che ha riconosciuto la necessità di una maggiore cooperazione tra le nazioni
per gestire efficacemente le migrazioni. La dichiarazione ha avviato un
processo che ha portato alla negoziazione del GCM. Una risoluzione è stata poi adottata
dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 6 aprile 2017, che ha deciso le
modalità e il calendario di definizione e approvazione del Patto, stabilendo
date e scadenze per la fase di consultazione, la stesura di una bozza iniziale
e i vari negoziati intergovernativi.
L'intenzione del Patto è
identificare gli obiettivi politici specifici e le migliori pratiche in cui gli
Stati membri delle Nazioni Unite possono impegnarsi a promuovere alternative sicure e legali alla migrazione irregolare.
Mentre il documento riafferma i principi importanti delineati nella
Dichiarazione di New York, il suo successo sarà definito dalle azioni che gli
Stati membri accettano di adottare per affrontare i movimenti su larga scala dei
migranti, rispettando i diritti umani e preservando la sovranità nazionale.
Dal momento in cui è
iniziata la discussione sul testo a Puerto Vallarta, in Messico, il 4-6 dicembre
2017, al febbraio 2018, quando una bozza iniziale è stata resa nota dai
co-facilitatori del processo, Messico e Svizzera, sono emerse più chiaramente
le questioni principali affrontate nel Patto, i punti di consenso come quelli
più controversi. Il ritiro degli Stati Uniti dal processo di negoziazione
giusto la settimana precedente alla riunione di Puerto Vallarta, per quanto
sorprendente, non ha scoraggiato gli altri 192 Stati membri delle Nazioni Unite
dal procedere con le loro deliberazioni o dal loro impegno a sviluppare un
accordo progressista e lungimirante. Su questo, si vedano ad esempio il
documento prodotto da una serie di organizzazioni non governative che hanno
partecipato al processo intitolato “Now and How: Ten
Acts for the Global Compact,” che presenta una prospettiva per il GCM basata sui diritti umani, e il
documento della Santa Sede intitolato “Responding to
Refugees and Migrants: Twenty Action Points.”
Il documento affronta
diversi temi importanti come ad esempio il favorire
la migrazione per vie legali. Se il
GCM riafferma il principio di offrire canali legali per la migrazione, il modo
in cui ogni Paese dovrebbe impegnarsi verso questo obiettivo è stato però lasciato
nel vago. A questo riguardo, ad esempio, la Rete Internazionale della Migrazione
Scalabrini (SIMN) – gli Scalabriniani, ricordiamo, sono un’organizzazione
religiosa che già sostenne e aiutò gli emigranti italiani al tempo della
“Grande Migrazione” – ha sostienuto che l'immigrazione familiare – non su base
individuale, quindi – potrebbe offrire ampi benefici ai Paesi riceventi, tra
cui l'imprenditorialità economica, la coesione sociale e un'efficiente
integrazione degli immigrati. L'immigrazione familiare non dovrebbe essere sacrificata
a vantaggio della migrazione a scopo lavorativo e su base individuale:
l'immigrazione non è un gioco a somma zero. Sul tema della migrazione
lavorativa si sono avuti vari interventi, come quello critico dei programmi di lavoro temporaneo, dei diritti dei lavoratori migranti, dell’utilità del riconoscimento del lavoro come fattore di migrazione, o del bilanciamento tra visti e permessi dati a scopo lavorativo o di
ricongiungimento familiare. Anche la questione del “brain-drain” e
dell’incentivo dato ai lavoratori high-skilled è stato dibattuto.
La questione della sovranità
e dell'applicazione del GCM è divenuta oggetto di controversia dopo che gli Stati
Uniti si sono ritirati dalla negoziazione sul GCM, suggerendo che il Patto
avrebbe violato la loro "sovranità nazionale" e che gli Stati Uniti
avrebbero invece seguito politiche di immigrazione autonome. Questo argomento
non è formalmente corretto, dato che il GCM sarà un documento non vincolante. Al
contrario, alcuni Stati membri hanno visto nel Patto un modo per rafforzare le frontiere incoraggiando
la cooperazione internazionale. In effetti, diversi Stati membri hanno
privilegiato la questione della "cooperazione di frontiera", che è divenuta
la parola d'ordine per accordi regionali di dissuasione. Si veda ad esempio ciò
che è successo in Asia con il programma di interdizione offshore avviato dal
governo australiano; nelle Americhe attraverso la cooperazione USA-Messico per
arginare il flusso di rifugiati dal triangolo settentrionale del Centro America;
e in Europa, dove l'Unione Europea ha firmato un accordo con la Turchia per
fermare la migrazione dei rifugiati siriani. Queste politiche sono state
generalmente caratterizzate dall'interdizione e dal rimpatrio, dall'uso illiberale
della detenzione e dalla chiusura dei confini.
L’iniziale Dichiarazione
di New York, in realtà, al paragrafo 24 incoraggiava espressamente la
"gestione internazionale e la cooperazione alle frontiere" e la
condivisione delle "migliori pratiche" di applicazione. La questione
della “cooperazione alle frontiere”, in effetti, è stata usata come base per un
maggiore coordinamento delle forze dell'ordine in contesti regionali o, anche,
per legittimare politiche come la detenzione, l'interdizione e il rimpatrio
accelerato e la chiusura dei confini. Come è stato invece argomentato, il successo del Global Compact verrà misurato
dal modo in cui questi accordi di deterrenza vengono mitigati, non aumentati.
La "esternalizzazione delle frontiere" dovrebbe essere sostituita con
una "esternalizzazione della protezione": i Paesi dovrebbero
cooperare per condividere la responsabilità nella protezione dei grandi movimenti di migranti, non nel respingerli
nei loro paesi di origine, spesso in situazioni pericolose.
Naturalmente, il GCM affronta
molti altri temi, come quello del rimpatrio e degli accordi tra Paesi in tema,
la detenzione di minori stranieri non accompagnati – che alcuni Paesi, come gli
Stati Uniti, usano come politica di “ultima istanza” di deterrenza per
l’immigrazione illegale – o come la protezione di migranti vulnerabili –
minori, donne e uomini vittime di violenza o tratta – o come, infine, la
questione della “regolarizzazione” dei migranti.
Il GCM è stato
sottoscritto da 164 nazioni. Nel suo complesso, tuttavia, il documento non ha
ricevuto grande attenzione se non per il clamore impresso dalla decisione di
alcuni Paesi di chiamarsi fuori o non aderire, almeno per ora, riservandosi
eventualmente di farlo dopo un ulteriore passaggio parlamentare, come nel caso
dell’Italia e della Svizzera. Ad oggi, ricordiamo, non hanno aderito Austria,
Australia, Bulgaria, Cile, Croazia, Repubblica Ceca, Repubblica Dominicana,
Estonia, Israele, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Svizzera, che pure aveva
inizialmente facilitato il processo, Ungheria, oltre agli Stati Uniti e, come
su detto, l’Italia. Come si può notare, ben 10 Paesi dell’UE non hanno aderito,
tra cui tutti i Paesi dell’Est, ad esclusione di Romania e Slovenia.
“Limitare” e non “controllare” l’immigrazione, si
dice
Come è ovvio, vi sono argomenti
a sostegno dell’idea di limitare
l'immigrazione senza per questo condividere atteggiamenti estremi di xenofobia
per pensare di fermare completamente le migrazioni. Anche questi argomenti,
tuttavia, appaiono negare il fatto che il fenomeno esiste e va governato,
andando ad incidere sui suoi aspetti più drammatici, senza pensare di impedirlo
erigendo dighe o muri.
Un primo argomento è che
il ritmo migratorio negli ultimi anni è salito a livelli tali da rendere
difficile l'assimilazione. Le situazioni nei singoli Paesi sono molto differenti,
ovviamente. In alcuni, come il Giappone, l’invecchiamento sta portando ad una riduzione
della popolazione, ma ciò non li rende automaticamente “pro-immigrazione”. E
ciò può essere vero anche per l’Italia, la Germania o altri Paesi europei
maturi. In effetti, non vi è ormai un solo paese al mondo che oggi segua una
politica di “porte aperte”, come quella che gli Stati Uniti avevano fino alla
fine dell’Ottocento o l’Europa fino alla fine del Novecento. Gli Stati Uniti –
che pure sono un Paese dove praticamente ogni cittadino ha antenati nati
altrove – hanno sempre attraversato periodi in cui ad un sentimento favorevole
all'immigrazione han fatto seguito sentimenti anti-immigrazione, e oggi il sentimento
contro ha probabilmente raggiunto un nuovo picco. L'Europa sta vivendo lo
stesso fenomeno, spinto da un'ondata di rifugiati dalla Siria e da altri paesi
mediorientali esplosa nel 2015 e aggravata da un flusso costante dall'Africa.
Un secondo argomento contro
la migrazione è economico, per via dell'impatto negativo che questa avrebbe sui
salari. Numerosi studi hanno messo in luce importanti benefici economici derivanti
dall’immigrazione, soprattutto a lungo termine. Ma esistono modesti impatti
negativi a breve termine, specialmente nei settori in declino delle economie
avanzate, sotto forma di pressione al ribasso sui salari. Ma gli argomenti
economici sono complessi, di difficile comprensione, e quindi discutibili. Ciò
che non è discutibile è che esiste un legame tra sentimento anti-migrazione e
sentimento anti-globalizzazione, sebbene non sia chiaro in quale direzione tale
relazione stia andando. I più contrari, spesso, appaiono proprio “i perdenti”
della globalizzazione, perché si sentono minacciati ed esclusi, ma questo
risulta essere, alla fine, forse solo un capro espiatorio che non va alla
radice del problema.
Un terzo argomento, forse
più importante e di prospettiva per favorire una migrazione più lenta e
politicamente sostenibile, è l'impatto dei cambiamenti climatici. Per coloro
che credono che il cambiamento climatico sia una sfida esistenziale per la
razza umana, l'impatto più problematico del riscaldamento globale sarà quello
di costringere le persone ad andarsene da zone che soffrono di siccità croniche,
desertificazione, erosione del suolo e innalzamento del livello del mare. Il
mondo appare sul punto di perdere la battaglia per evitare cambiamenti
climatici irreversibili e catastrofici, il che significa che le pressioni
migratorie si intensificheranno nei prossimi decenni e minacceranno il
benessere delle persone nei Paesi meno colpiti. Di conseguenza, i sentimenti anti-migratori
potrebbero diventare molto più forti e possibilmente condurre alla violenza. Il
che impone di intervenire sul fenomeno, regolandolo, calmierandolo,
indirizzandolo, perché nulla si potrà fare per eliminarlo.
Il Global Compact on Migration
è un tentativo di risposta. Nel suo intervento all’Assemblea delle Nazioni
Unite il 25 settembre scorso, il Presidente Trump ha dichiarato che "In
definitiva, l'unica soluzione a lungo termine della crisi migratoria è aiutare
le persone a costruire futuri più promettenti nei loro Paesi d'origine. Rendere
i loro Paesi nuovamente grandi." Non è l'unico ad avere questa idea:
“aiutiamoli a casa loro”, si dice. Molti studiosi e tutti i sostenitori di
politiche di aiuto internazionale più efficaci ed effettive lo sostengono. Una
riforma essenziale della politica migratoria europea, ad esempio, sarebbe una
politica di immigrazione politicamente sostenibile (si vedano, ad esempio, i
contributi di Alexander Betts e Paul Collier), una politica che "goda di ampio sostegno
democratico". Come? Aiutando i Paesi poveri a svilupparsi, limitando le
emissioni di carbonio, lavorando sui cambiamenti climatici (nei Paesi ricchi
come in quelli poveri). Ma l’Europa, e i Paesi più avanzati, quanto destinano
agli aiuti allo sviluppo? Appena lo 0.3% del loro PIL (e si erano impegnati a
raggiungere lo 0.7% entro il 2015), quasi 150 miliardi di dollari in tutto. I Paesi
ricchi – nel loro complesso – mettono a disposizione dei paesi poveri poco più
di 5 volte l’importo della manovra economica italiana per un solo anno! Oppure,
riducendo le spese militari, alle quali molti Paesi riceventi destinano quote
notevoli di risorse.
Fermiamo l’invasione!
Il Global Compact
stabilisce alcune importanti linee guida,
quali: “La centralità delle persone, la cooperazione internazionale, il
rispetto della sovranità di ogni stato, il rispetto delle norme internazionali,
lo sviluppo sostenibile, il rispetto dei diritti umani, delle differenze di
genere e dei diritti dei minori e infine un approccio multilaterale e
partecipativo”, come ricorda l’articolo illustrativo di Annalisa Camilli e
Francesca Spinelli su Internazionale. L’accordo, viene anche sottolineato, entra anche
nel merito delle azioni possibili e “stabilisce 23 obiettivi che dovrebbero
orientare l’operato dei governi attraverso azioni e buone pratiche”.
Come è stato detto, in
ogni caso, il GCM ha soprattutto un valore simbolico, non vincola a fare nulla,
non comporta nessun obbligo, semplicemente dà una direzione alla comunità
internazionale e dice che gli Stati dovrebbero cooperare per raggiungere
obiettivi condivisi. “Esso non è un trattato, non può cambiare le leggi
internazionali, chiede solo maggiore cooperazione nella gestione delle
migrazioni. L’Italia ha partecipato a tutte le fasi del negoziato negli ultimi
due anni”, ricordano Camilli e Spinelli, per decidere solo all’ultimo di non
partecipare alla conferenza di Marrakech e di lasciare al Parlamento la
decisione se aderire o meno.
Eppure, il 27 novembre il
nostro ministro dell’interno ha dichiarato di essere contrario al Global Compact,
perché metterebbe sullo stesso piano “i migranti cosiddetti economici e i
rifugiati politici”, mentre altri esponenti della Lega hanno sostenuto le
posizioni del ministro affermando che il documento implica un rischio di
“immigrazione incontrollata”. Il piccolo partito Fratelli d’Italia ha promosso
una raccolta firme per chiedere che il governo non sottoscriva il Global Compact,
perché finirà con il “sancire l’invasione dell’Italia” e accusando chi lo
dovesse sottoscrivere di “schierarsi con Soros”. Secondo Giovanbattista
Fazzolari di Fratelli d’Italia, il Global Compact “sancisce che l’immigrazione
è un diritto fondamentale e che pertanto renderà impossibile per gli stati
limitare i flussi migratori”. Che è proprio il contrario di quello che il Patto
si prefigge. A sinistra, invece, c’è stato un silenzio assordante, che dice
molto delle ambiguità che, su questi temi, sono ancora diffuse.
“Il Global Compact per la
migrazione conviene all’Italia perché può rafforzare le sue ragioni nelle
relazioni e nelle negoziazioni con gli altri Paesi europei e facilitare le
trattative nella definizione degli accordi con i paesi di provenienza e di
transito", recita un appello sottoscritto da regioni, comuni, ONG, università, autorità per
la tutela dei diritti dei minori e altri.
Le Nazioni Unite hanno
risposto alle critiche avanzando principalmente due argomenti. Il primo è che
il testo non è vincolante, anche se questo è un argomento debole, perché anche
i trattati non vincolanti, dal momento in cui sono adottati, possono orientare
non solo le politiche nazionali ma anche le decisioni dei tribunali. Il secondo
argomento è che il GCM non favorisce affatto “l’immigrazione selvaggia”. Come è
stato sottolineato, purtroppo, il documento finale è molto meno ambizioso della
bozza iniziale e, su alcuni punti, esso invita i governi a fare perfino meno di
quanto già previsto dal diritto europeo. Durante i negoziati la delegazione
dell’Unione europea ha insistito perché fosse messo l’accento su alcuni punti:
la distinzione tra migranti e rifugiati e tra migranti regolari e irregolari;
la prevenzione della cosiddetta migrazione irregolare; la responsabilità degli
stati di origine dei migranti nel quadro di rimpatri e riammissioni. Tuttavia, “non
esiste nessuna base legale evidente nel diritto internazionale per sostenere
che gli stati hanno l’obbligo di riammettere i loro cittadini espulsi da un
altro paese. Durante i negoziati, l’Unione Europea avrebbe potuto ottenere di
creare, senza sforzi e su scala globale, un’intesa sull’obbligo legale di
riammissione” (cfr. Guild e Basaran). E alla fine, i negoziati si sono conclusi con
un documento ispirato più all’atteggiamento di chiusura dell’Unione Europea che
alle posizioni progressiste dei paesi dell’America Latina.
Marta Foresti, di ODI,
segnala quanto sia importante oggi che questo GCM sia stato approvato dalle
Nazioni Unite (Lunga
vita al multilateralismo: perché il Global Compact sulle migrazioni è
importante). “In un
momento in cui in Europa non si riesce a raggiungere un accordo significativo
per cooperare sulla gestione delle migrazioni, e in mare continua a morire un
crescente numero di persone, e Trump spinge per una linea sempre più dura
sull’immigrazione, è più urgente che mai impegnarsi per scoprire e testare
nuove forme di cooperazione internazionale e approcci pragmatici per la
gestione della realtà migratoria. Il GCM offre una base per fare esattamente
questo. Per dirla con le parole dell’ambasciatore svizzero per lo Sviluppo e le
Migrazioni durante la cerimonia alle Nazioni Unite, “sembrava una scommessa
impossibile, ma il Global Compact è riuscito ad andare oltre via il rumore
della xenofobia e del populismo. […] Cosa pensare del testo in sé? Io lo vedo
come un trampolino di lancio per affrontare le migrazioni in modo diverso”.
Angela Merkel, accusata
dai critici di aver aggravato la crisi dei rifugiati aprendo i confini della
Germania nel 2015, ha detto che la cooperazione è stata l'unica risposta per
affrontare i problemi del mondo. Parlando a Marrakech, ha detto: "Il patto
merita di essere portato avanti”. "È tempo che finalmente affrontiamo la
migrazione insieme". Senza nominare il Presidente Trump o la sua politica
"America First", la cancelliera tedesca ha affermato che il
multilateralismo è il modo "per rendere il mondo un posto migliore".
Qui non si tratta di
fermare “l’invasione”, ma di regolare i flussi. Come documenta l’IOM, all’11 dicembre 2018 sono arrivati in Europa,
via mare o via terra, nel corso dell’anno, 116.389 persone, a cui va aggiunto
un numero di 2.160 morti nell’attraversamento del Mediterraneo. Erano stati
172.301 nel 2017 (con 3.139 morti stimati), 362.753 nel 2016 (con 5.096 morti
stimati), 1.015.078 nel 2015 (con 3.771 morti stimati) e 26.074 nel 2014 (con
3.538 morti stimati). Il picco ci fu dunque nel 2015 e da allora non ha fatto
che calare. I numeri per l’Italia sono corrispondenti: 170.100 ingressi nel 2014 (con 3.093 morti),
153.842 nel 2015 (con 2.913 morti), 181.432 nel 2016 (con 4.578 morti), 119369
nel 2017 (con 2.873 morti). Tra il 1° gennaio e l’11 dicembre di quest’anno
sono entrati in Italia 23.055 migranti e rifugiati (e va detto che i flussi
dall’Africa includono migranti che presentano domanda di asilo perché non hanno
altre possibilità). Nel complesso, quindi, è chiaro che non sono state certo le
politiche di respingimento e di chiusura dei porti a far diminuire i flussi. È
stata questa un’invasione? Non sono queste le cifre che la documentano. Un
fenomeno in diminuzione, ma solo perché i movimenti inter-nazionali vanno e
vengono, ma non certo un fenomeno che possiamo continuare a negare, erigendo
barriere. Controlliamolo, piuttosto, re-introducendo politiche di accesso con
visti e permessi, quote e quant’altro. Torniamo umani, rispettiamo i diritti
umani, perché il fenomeno esiste e di immigrati, forse, abbiamo bisogno per non
venire travolti dalla nostra cecità.
