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giovedì 31 gennaio 2019
[in questo giorno, nel 1606, venne giustiziato in Inghilterra il
cospiratore Guy Fawkes, divenuto simbolo di rivolta contro il potere,
e, nel 1943, il feldmaresciallo tedesco Paulus comandante delle truppe
naziste si arrese ai combattenti sovietici nella battaglia di
Stalingrado]
[Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina web dell'Istituto Cattaneo]
Come giustamente Grazia
Speranza affermava il 22 gennaio su Repubblica
nell’intervista a Paolo di Paolo – “Troppa enfasi sulle élite, il vero nodo è la disuguaglianza” – “la chiave di lettura socio-politica è stata
privilegiata rispetto ad una chiave di matrice economica”. In questa
discussione sulla ricerca delle cause della presa del populismo e della
supposta aumentata distanza tra “élites” e “popolo” – divenuta un po’
intellettualistica e letteraria – si sono perse di vista alcune delle tendenze
di fondo che Grazia Speranza elenca, forse perché fanno meno notizia dei giornalieri
colpi di maglio dei nostri rappresentanti di governo cui bisogna sempre far
seguire, quasi chiedendo venia, specialmente con gli stranieri, un
paternalistico “scusateci, ma sono ragazzi un po’ esuberanti, non hanno
studiato, bisogna capirli…”. Le disuguaglianze non fanno notizia, fintantoché,
periodicamente, qualche bollettino statistico o report di agenzie internazionali
ci ricorda quanto la situazione sia allarmante e vada peggiorando. Il ghiaccio
delle eguaglianze si va sciogliendo quasi alla stessa velocità di quello dei
poli, le iniquities aumentano quasi
più dei livelli dei mari e ci vanno travolgendo ad un passo che ci fa quasi
chiedere se soccomberemo prima sommersi dalle acque o dalla rivolta delle
masse, quelle diseredate e quelle espropriate.
L’ultimo rapporto a
risuonare l’allarme è quello di Oxfam,
il rapporto annuale sullo stato delle disuguaglianze nel mondo solitamente
pubblicato in occasione del meeting del World
Economic Forum a Davos, in Svizzera. Il rapporto di quest’anno, intitolato ‘Public Good or Private Wealth?’ mostra che negli ultimi dodici mesi “le fortune
dei miliardari sono cresciute di 2 miliardi e mezzo al giorno, mentre i più
poveri hanno visto la loro ricchezza diminuire” dell’11 per cento in un anno.
“Il gap tra ricchi e poveri sta compromettendo la lotta contro la povertà,
alimentando la rabbia delle masse ovunque nel mondo. I governi, invece di
correre ai ripari, contribuiscono ad inasprire le disuguaglianze tagliando i
servizi pubblici, come sanità e istruzione, mentre riducono le tasse per le
grandi imprese e i più ricchi e non fanno nulla contro elusione ed evasione
fiscale. Inoltre, sono le donne e le ragazze ad essere sempre più discriminate
di uomini e ragazzi”. Martedì 4 febbraio discuteremo del rapporto e di quanto
dice sull’Italia in un incontro pubblico da noi organizzato con Oxfam Italia.
Secondo il rapporto Oxfam,
il divario tra ricchi e poveri nel mondo continua ad aumentare. Nel 2018, 26 ultramiliardari possedevano da soli la
stessa ricchezza della metà più povera del pianeta. In Italia, il 20% più
ricco dei nostri connazionali possedeva, nello stesso periodo, circa il 72%
dell'intera ricchezza nazionale. Secondo i dati citati da Oxfam, a metà del
2018, l'1% più ricco deteneva poco meno della metà (47,2%) della ricchezza
aggregata netta, contro lo 0,4% posseduto dalla metà più povera della
popolazione mondiale. Se la quota della ricchezza globale nelle mani dell'1%
più ricco è in crescita dal 2011, la riduzione della povertà estrema ha invece
seguito un trend opposto. Il tasso annuo della riduzione della povertà estrema,
infatti, ha registrato un calo del 40%. L'aumento della povertà estrema,
secondo Oxfam, colpisce soprattutto i contesti più vulnerabili del nostro
pianeta, uno su tutti l'Africa subsahariana (sotto: grafico, dati e foto sono
tratti dal rapporto Oxfam).


Queste tendenze sono
confermate, peraltro, dal Global Wealth Report 2018 pubblicato da Credit Suisse (una delle fonti su
cui si basa il rapporto Oxfam). Il rapporto mette in luce, tra le altre cose,
che dal 2007 al 2018 sono i più ricchi ad aver migliorato la loro posizione
relativa, con sempre maggiori quote di ricchezza relativa, anche in Italia. Nei
due grafici, possiamo vedere le quote di ricchezza possedute dall1% e dal 10%
più ricco, rispettivamente (l’Italia è il terzo paese da sinistra).


A Davos, come ogni anno,
si sono riuniti i rappresentanti di quei ricchi di cui sopra per discutere
delle sorti del pianeta e, quest’anno, di “globalizzazione 4.0”. “The global elite descending on Davos are
richer than ever” riporta la news agency di Bloomberg, lui stesso uno dei 26 multimiliardari, in un flash
intitolato Davos billionaries keep getting richer. E il bello è che l’élite miliardaria sta
prosperando come non mai dai tempi del crash finanziario del 2008. Un decennio
è passato, eppure più di una dozzina dei miliardari che quest’anno vediamo scendere
dai loro jet privati sulla ridente località svizzera ha visto la sua fortuna
aumentare, nell’insieme, di 175 miliardi dal 2009, pur in presenza di una
ricchezza il cui valore mediano, per le famiglie americane, è rimasto
invariato. Secondo Bloomberg, i dati mostrano che il gap tra lo 0,1 per cento
(non l’uno per cento) più ricco e gli altri continua ad aumentare. I Billionaires Insights reports di UBS e PwC mostrano che la
ricchezza globale dei miliardari è passata dai 3.400 miliardi del 2009 agli 8.900
miliardi del 2017. E se il meeting di Davos del 2009 era stato un dei più
mesti, dopo la crisi del 2008, quest’anno ci saranno molte ragioni per
brindare. A Wall Street il 2018 è stato uno dei “periodi del toro” più lunghi
di sempre, i tagli fiscali di Trump uniti a bassi tassi di interesse in USA ed
Europa hanno completato il quadro favorevole ai più ricchi. È per i meno ricchi
e per i più poveri che la situazione si fa sempre più grigia.
Sono i “gold-collar”
executives che se la vedono particolarmente bene, tra gli altri, mentre i
salari e gli stipendi ristagnano e le economie procedono a rilento, con
disarmanti sperequazioni (come negli USA) o perduranti mercati del lavoro
segmentati, con coesistenza di disoccupazione, lavoro precario,
marginalizzazione e selezione degli high-skilled sempre più competitiva (come
in Italia).
E non sono solo il
rapporto di Oxfam e il Billionaire Index
a suonare l’allarme. A illustrare ulteriormente il crescente iato si può vedere
il recente studio pubblicato di recente dall’Economic Policy Institute (EPI), dal quale risulta che nel 2017 il
rapporto tra il compenso medio di un CEO e quello di un lavoratore dipendente è
salito a 312-ad-1. “In una situazione in cui i compensi dei top manager
continuano a crescere, si continua a parlare di tagli alle tasse e alle
aliquote più alte, incredibilmente” (nel grafico, i “gatti grassi” secondo EPI,
come riportato da Bloomberg).

Il World Economic Forum, da parte sua, ha rilasciato poche settimane
fa un allarmato rapporto dove si dice che “di tutti i rischi, è in
relazione all’ambiente che il mondo sta chiaramente camminando come un
sonnambulo verso la catastrofe”. Il che è vero, se non fosse che “mentre molte
voci autorevoli a Davos diranno che è ora che i leader mondiali si rendano
conto che il tempo per affrontare il tema del climate change sta esaurendosi” la
ONG inglese DeSmogUK fa giustamente notare che all’industria dei carburanti fossili verranno
fatti tappeti rossi come sempre, a Davos. E intanto si parlerà di
Globalizzazione 4.0 !
Vale la pena citare
quanto riporta l’agenzia Associated Press:
The Davos confab
has always been vulnerable to snark: hedge fund billionaires flying into Davos
in fuel-guzzling private jets to discuss the threat of climate change;
millionaire CEOs discussing inequality while downing cocktails; endless
conversations between people who describe themselves as “thought leaders”.
Il cicaleccio di Davos è sempre stato vulnerabile all’irriverente: i
miliardari degli hedge fund che volano a Davos su jet privati dai motori
ruggenti di carburante per discutere la minaccia del cambiamento climatico; i
CEO miliardari che discutono di disuguaglianza mentre trangugiano i loro
cocktail; le conversazioni senza fine tra persone che si definiscono “leader
del pensiero” (un tempo chiamati maîtres
a penser).
E l’Italia? Non ci sono le coperture!
E l’Italia? Sì, certo, le
nostre élite sono lontane dal popolo, non lo hanno capito, non lo hanno
istruito abbastanza, i barbari sono arrivati perché le buone élite si sono fatte
distrarre, forse narcisisticamente, dall’idea che il loro giocattolo liberista
avrebbe risolto ogni problema e fatto felici tutti, tra uno “sgocciolamento” (trickle down) e l’altro, pur tenendo
fermo il baluardo dell’austerità di bilancio (per i poveri mortali) e della
riduzione del ruolo dello Stato, inefficiente e potenzialmente “corruttibile” e
prono al clientelismo.
Vari studi e rapporti
confermano come anche da noi l’élite finanziaria non se la cavi poi così male.
Secondo Wealth-X, una società che tratta i dati sulla ricchezza, l’Italia è il
decimo paese al mondo con più milionari: tra
i top 10, l’Italia è il paese in cui la crescita dei super ricchi è stata più
che accelerata nel 2018, con un aumento del 6,2%. In un’analisi dei
cosiddetti High Net Wealth Individuals
– individui con patrimonio netto superiore al milione di dollari – nel 2018 in Italia
vi erano 418.090 milionari, nelle cui mani si è concentrata una ricchezza di
1.219 miliardi di dollari.
Secondo il report del
Boston Consulting Group “Global Wealth 2018: Seizing the Analytics
Advantage”, giunto alla diciottesima
edizione, la ricchezza finanziaria personale globale
è cresciuta ancora registrando un +12% rispetto all'anno precedente.
Un incremento più che doppio rispetto all'anno prima, quando l’aumento era
stato del 4%, e che rappresenta il più forte tasso di crescita annuale
degli ultimi cinque anni. Ad oggi i super ricchi del pianeta
detengono quasi 202mila miliardi in dollari. Secondo il BCG, tra i paesi più
ricchi vi sono gli Stati Uniti, con 80mila
miliardi di ricchezza, seguiti dalla Cina con 21 e dal Giappone con 17. L’Italia risulta
essere l’ottava nazione nel mondo con 5mila miliardi di dollari di ricchezza
personale. Ma entro il 2022 si prevede che la ricchezza personale degli
italiani possa toccare i 7mila miliardi di dollari. Attualmente il BCG conta
394.000 italiani milionari che detengono un patrimonio di almeno un milione di
dollari in ricchezza finanziaria personale. Un numero destinato a crescere a
519.000 nel 2022.
Eppure, l’Italia come
molti altri paesi avanzati soffre di redditi medi e mediani stagnanti,
l’economia non cresce ed è asfittica, i consumi sono al palo, a fronte di
un’alta pressione fiscale, di un carico fiscale sui redditi da lavoro enorme e
di una fiscalità generale percepita come iniqua e oppressiva, cui fa da
contraltare un altrettanto cospicua evasione fiscale. I dati sulla
distribuzione del reddito degli ultimi anni mostrano una situazione
sostanzialmente stabile, con una disuguaglianza del reddito disponibile ferma a livelli pari a quelli medi europei ed
una disuguaglianza dei redditi di
mercato – prima di tasse e sussidi – più alta e preoccupante. Anche in
Italia, come in molti altri paesi del mondo, i sistemi di tassazione degli
ultimi anni sembrano avere infierito sul ceto medio più che su ogni altro ceto
– il grosso dei contribuenti.
Secondo il rapporto
Oxfam, che riprende analisi già note e diffuse negli ultimi anni, “le aliquote
fiscali per gli individui più ricchi e le grandi aziende sono state tagliate
vistosamente. Per esempio, l’aliquota fiscale massima sui redditi individuali nei
paesi avanzati è diminuita, in media, dal 62 per cento del 1970 al 38 per cento
del 2013. L’aliquota media, nei paesi in via di sviluppo, è addirittura del 28
per cento.” Eppure, afferma Oxfam, “far pagare ai ricchi appena uno 0,5 per
cento in più sulla loro ricchezza potrebbe portare tanto quanto servirebbe a
pagare il costo per l’istruzione di 262 milioni di bambini che oggi non possono
andare a scuola e il costo delle cure sanitarie che salverebbero le vite di 3,3
milioni di persone”.
In Italia, in questa situazione,
con i ricchissimi che stanno sempre meglio e il resto del paese che “vivacchia”
e si “arrangia”, non paiono vedersi all’orizzonte iniziative destinate a
cambiare il quadro. E tutto questo anche perché, si dice, “non ci sono le
coperture!” Eppure, Oxfam, come altri, afferma che basterebbe poco, pochissimo.
E se anche in Italia applicassimo uno 0,5 per cento in più di tasse per ogni
milione di euro in patrimonio posseduto o in redditi da impresa o da profitto?
Siano trecentomila o cinquecentomila, quei nostri concittadini miliardari non
ne percepirebbero l’effetto, lo “sgocciolamento” della loro benefica
magnificenza continuerebbe inesausto e noi potremmo lodare i magnati di aver
risollevato le sorti del Bel paese, pagando le quote 100, i redditi di
cittadinanza e tutte le prebende elettorali da qui alla fine della crisi.
Finché il livello del mare non ci sommergerà per sempre.
